Pianoterra e Sotterraneo

3. Atrio

Varcata la porta della villa si accede a un piccolo ingresso semicircolare adorno di due panche con lo stemma del conte Salvatore Segrè Sartorio, con il motto Omnia pro patria libenter. Superati i quattro gradini del vestibolo, si accede all’atrio, che ospita ritratti di famiglia, vedute delle dimore Sartorio e due paesaggi realizzati da Giovanni Guglielmo Sartorio, che in tarda età si era cimentato nella pittura. Tra le vedute delle dimore Sartorio, vi è il piccolo acquerello eseguito da Romano, che testimonia quanto fosse lussureggiante il giardino di questa villa nel 1880, e due oli di Carlo Wostry che hanno come soggetto la villa Carolina di Montebello.

Atrio

4. Salone della caccia

Così chiamato perché un tempo adorno di trofei di caccia, il salone che si apre sul giardino presenta un grande camino in pietra e un pavimento a terrazzo veneziano. Sul soffitto la decorazione pittorica originale con motivo a cassettoni e palmette è stata riportata alla luce solo in parte ed è databile tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento.

Tra gli arredi un tavolo centrale, le sedie, alcune cassapanche e due severi armadi a doppio corpo; al centro, il grande lampadario in pendant con le quattro applique fu commissionato nel 1921 all’artista friulano del ferro battuto Alberto Calligaris da Salvatore Segrè, marito di Anna Sartorio.

Alle pareti ricercate incisioni che hanno come soggetto i cavalli e vivaci dipinti con scene di genere e di caccia.

Salone di Caccia

5. Biblioteca

La biblioteca, suddivisa in tre ambienti, è arredata con librerie ottocentesche che conservano circa seimila volumi. Tra essi, opere di letteratura classica e del Sette-Ottocento, una rara sezione di opere massoniche settecentesche, una di libri di viaggio, manuali di agricoltura, agraria e giardinaggio, tutti preziosamente rilegati.

Le stanze sono adorne di quadri che appartennero alla famiglia Sartorio. Giungendo dal salone, nella prima spiccano sei vivaci dipinti di vita e di costume veneziani del Settecento che, sotto il titolo Il complessino delle maschere, rievocano analoghi modelli di Pietro Longhi.

Nella seconda sala prevalgono dipinti e disegni che hanno per soggetto vedute di città italiane ed europee, animati mercati e architetture e campielli della Venezia dell’Ottocento. Al centro della sala spiccano sul tavolino i due – globi terrestre e celeste – di Wilhelm Janszoon Blaeu, tra i più celebri cartografi che operarono ad Amsterdam tra la fine del XVI e la prima metà del XVIII sec.

Nella terza sala – un tempo ambiente di servizio e destinata a biblioteca a seguito dei restauri degli anni 2000 – spiccano la grande libreria con colonne corinzie e l’elegante cassettone intarsiato, mentre alle pareti vi sono preziosi dipinti, disegni e ricami di artisti di area veneta databili tra il XVI e il XVIII sec.

Biblioteca / Museo Civico Sartorio

6. Anticucina

Questo ambiente un tempo di servizio, attiguo alla cucina, è stato restaurato e trasformato in sala espositiva nel 2001 grazie al generoso contributo della famiglia Costantinides. L’arredamento consiste in una coppia di piccole librerie, un pregevole cassettone del Settecento intarsiato sormontato da tre dipinti di Giovanni Pagliarini (Ferrara 1808-1878): Mangiatore di pasta e fagioliIl fiuta tabaccoL’Ostricaio.

Sopra un cassone nuziale con scena cortese a intaglio ribassato, opera del XV sec., è poggiato un prezioso Cofanetto rivestito di lamelle di avorio intagliate, opera del 1430-1460 ca. di una bottega dell’Italia settentrionale.

Anticucina

7. Cucina

La cucina conserva integri tutti gli arredi dal grande focolare al funzionale calapranzi, che saliva al primo e al secondo piano. Una curiosità: il foro sul soffitto (visibile nell’angolo entrando a sinistra) è collegato con uno strumento in ottone, posto al piano superiore, dal quale, accostando le labbra, si può comunicare con la cucina. Le stoviglie esposte sono solo in parte originali di casa Sartorio: con esse convivono beni frutto di vari doni confluiti negli anni ai Civici Musei di Storia ed Arte, mentre gran parte degli stampi in rame sono un dono di Fulvia Costantinides del 2002.

8. / 9. Capolavori dell'Istria

In quattro ambienti che si aprono a sinistra del Salone della caccia sono esposte ventuno opere d’arte tra dipinti e sculture provenienti dall’Istria, di proprietà dello Stato italiano.

Giunti da musei e chiese di Capodistria, Pirano e Portorose, allora appartenenti all’Italia, furono messi in salvo nel 1940 in luoghi sicuri del Friuli insieme alla maggior parte del patrimonio artistico dell’area istriana e friulana, in attuazione delle leggi emanate per la protezione del patrimonio nazionale in caso di guerra.

Le opere furono portate a Roma nel 1948 e conservate fino al 1972 al Museo Nazionale Romano, da cui furono trasferite a Palazzo Venezia. Nel 2002 vennero estratte dalle loro casse per avviarne il restauro a cura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Esse rappresentano un exemplum della produzione artistica veneziana nei suoi secoli più fecondi, dal Trecento al Settecento, con alcuni momenti particolarmente qualificanti come le opere su tavola di Paolo Veneziano e di Alvise Vivarini, il telero di Vittore Carpaccio, le tre tele di Benedetto Carpaccio e la pala d’altare di Giambattista Tiepolo.

Istria

11. Quadreria

La Quadreria “Laura Ruaro Loseri” è un ampio ambiente ricavato dalla ristrutturazione delle scuderie della villa. Su due livelli sono state create delle strutture scorrevoli a griglia per l’affissione dei quadri, mentre un impianto di condizionamento mantiene costante la temperatura e il livello di umidità, garantendo la migliore conservazione delle opere d’arte.

È stato qui riunito tutto il patrimonio pittorico dei Civici Musei di Storia ed Arte (prima dislocato in cinque sedi diverse), accostando per la prima volta le collezioni affluite al Museo dal 1874 ad oggi, tra cui figurano i nomi di: Sartorio, Caccia, Currò, Mayer, Popovich, Gatteri, Stavropulos, Rusconi-Opuich. In totale i quadri esposti nella quadreria sono circa milleduecento e vanno dal Medioevo al Novecento.

Nel 1999 la quadreria è stata intitolata a “Laura Ruaro Loseri” direttrice dei Civici Musei, dal 1967 al 1985, a un anno dalla scomparsa. Nel 2017 l’azienda Gli Orti di Venezia ha finanziato il restauro di sei importanti dipinti databili tra il XV e il XVIII secolo, appartenenti a diverse collezioni, tra cui la collezione Sartorio, conservati nella Quadreria e in parte temporaneamente esposti nel Salone da ballo al primo piano.

La Quadreria è visitabile solo su appuntamento per esigenze di studio e ricerca.

Quadreria

12. Gipsoteca-Gliptoteca "Silvio Rutteri"

Inaugurata nel 2003, la Gipsoteca-Gliptoteca “Silvio Rutteri” è ospitata negli ambienti una volta destinati a rimessa delle carrozze, ristrutturati e restaurati a tale scopo.

Analogamente a quanto accade nella Quadreria, è stato qui riunito il patrimonio scultoreo dei Civici Musei di Storia ed Arte: più di 500 pezzi – in gesso, marmo, bronzo e altri materiali – giunti dalla fine dell’Ottocento fino ad oggi in diversi atti di donazione, per esempio da parte degli artisti stessi o dei loro eredi che desideravano vedere eternata la memoria dei loro avi.

Nel 2007 l’ambiente è stato intitolato a Silvio Rutteri, direttore dei Civici Musei di Storia ed Arte dal 1940 al 1963.

Gipsoteca

13. / 14. Giardino d'inverno

L’ambiente, un tempo il cortile di servizio della casa, è suddiviso in due parti, di cui una coperta che fungeva di raccordo tra i vani di servizio della scuderia, delle stalle e della rimessa per le carrozze, oggi adibiti ad ambienti espositivi (Quadreria e Gipsoteca-Gliptoteca) e a uffici.

Vi è collocata una delle carrozze di famiglia: una vettura estiva di tipo “Milord”, che fu di gran moda per tutta la seconda metà dell’Ottocento, appartenuta al barone Giuseppe Sartorio.

Nella parte un tempo scoperta – e oggi chiusa da un tetto vetrato – sono collocate alcune sculture in gesso e in marmo, in ideale continuità con la Gipsoteca: le Allegorie della Previdenza e della Protezione dello scultore triestino Giovanni Marin (1910-1914), che sono i bozzetti per le statue poste in facciata al palazzo della Riunione Adriatica di Sicurtà in piazza della Repubblica (oggi riconvertito in albergo); il Donizetti del triestino Giovanni Mayer (1896); due Nudi di Antonio Camaur, e il rilievo raffigurante Il risveglio (1947), opera di Nino Spagnoli, autore che ha raffigurato i poeti e i letterati più significativi della città.

Giardino Inverno

16. Sala Espositiva

Questa sala, realizzata per ospitare mostre temporanee, mantiene un legame con la Gipsoteca grazie all’esposizione permanente di tre sculture: il Cristo Redentore (1928) e l’incompiuto Cristo in croce (1934-1961) in marmo bianco, opera del triestino Carlo Hollan (1888-1961; dono di Carmen Hollan Riegler del 2012) e il gesso di Antonio Guacci (Trani, 1912-Trieste, 1995) intitolato Tauro II, donato da Laura Bessich nel 2012 in ricordo del marito, prof. Roberto Damiani, vicesindaco e assessore alla cultura del Comune di Trieste dal 1993 al 2001.

Sala espositiva

17. Cappella

Aperta sul giardino e comunicante con la Sala Espositiva e Sala Costantinides, vi è una piccola cappella completa di altare, calice, inginocchiatoi, poltrone e banchi. Adorna di numerosi quadri, tutti a soggetto sacro, i Sartorio vi facevano celebrare la messa. Dietro l’altare la pala con l’Adorazione dei Magi, copia settecentesca da Palma il Giovane. Due sono gli inginocchiatoi, intarsiati in legno e avorio – uno con il motivo centrale a sole raggiato, l’altro con motivo a rosone – e attribuibili a una manifattura indo-portoghese del XVII secolo.

Cappella

18. Sala Conferenze "Giorgio Costantinides"

La serra – o limonaia – ottocentesca adiacente alla cappella, grazie all’intervento mecenatesco di Fulvia e Fulvio Costantinides nel 2000 è stata ristrutturata, adibita a sala per conferenze ed eventi culturali e intitolata a Giorgio Costantinides.

Essa dialoga direttamente con il giardino del museo, la cui originaria impostazione era quella di un parco all’inglese di piccole dimensioni, con il caratteristico andamento sinuoso di viali e vialetti che vanno a creare aiuole e spazi erbosi di forma irregolare.

Nel 2022, grazie al contributo dell’Inner Wheel Club Trieste, ha trovato nuova e degna collocazione in questa sala l’imponente dipinto La battaglia di Lipsia, opera del pittore neoclassico Giuseppe Bernardino Bison del 1827. Il quadro raffigura un episodio della battaglia di Lipsia, che si svolse nell’ottobre 1813 e che fu una delle sconfitte decisive subite da Napoleone Bonaparte.

Sala Conferenze "Giorgio Costantinides"

Sotterraneo

43. Ceramica italiana dal Medioevo all’Ottocento

Il prezioso e vario vasellame esposto nel sotterraneo, a cui si accede con un ascensore situato nella Gipsoteca, proviene dalle più importanti manifatture italiane e si conclude con esempi di produzione inglese e triestina.

Si tratta di circa duecentocinquanta pezzi, scelti tra i moltissimi di proprietà dei Civici Musei di Storia ed Arte, in massima parte frutto di lasciti di alcune famiglie triestine, quali Sartorio, Morpurgo, Currò e Rusconi, e in parte acquistati e donati occasionalmente. L’allestimento evidenzia la produzione di diverse aree geografiche e inizia con alcuni esempi della cosiddetta maiolica arcaica e con alcuni manufatti provenienti da Faenza; seguono boccali eseguiti a Pesaro e a Deruta, caratterizzati dalla decorazione a grottesche.

Si passa poi all’esemplificazione delle manifatture toscane di Pisa e di Montelupo, di quelle venete dal XV al XVIII secolo, con il culmine raggiunto dalle officine di Bassano e Nove (Vicenza).

Il resto dell’Italia trova spazio nelle vetrine successive: le forme sia semplici che complesse, dominate dalla monocromia del blu, della produzione ligure; i rinomati manufatti della famiglia Grue di Castelli d’Abruzzo; i piatti e gli albarelli dai motivi geometrici di ispirazione araba dell’Italia meridionale.

A conclusione le ultime quattro vetrine espongono esemplari di terraglia inglese, imitata dalla cosiddetta ceramica triestina, prodotta in città negli ultimi tre decenni del Settecento.

Partendo da alcuni manufatti della nota produzione inglese di Josiah Wedgwood (Burslem, Staffordshire 1730-1795), famoso per i grès con decorazioni a cammeo e per la straordinaria invenzione delle terraglie dagli impasti bianchi e purissimi, dalla vernice trasparente e prive di decorazioni dipinte, si passa ai tipici esemplari triestini settecenteschi: vasellame in terraglia fine, caratterizzato dall’equilibrio e dall’armonia delle superfici eburnee, lisce e prive di cromatismi, dai delicati ornati a traforo e dalla nitidezza dei rilievi.

La produzione triestina prende avvio nel 1773, quando Giacomo Balletti aprì nella zona detta “dei Santi Martiri” (adiacente alla Villa Sartorio) una fabbrica di “maioliche e faianse dipinte”, su ispirazione di quelle inglesi, con concessione privativa decennale dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria. La fabbrica nel 1776 fu venduta a Pietro Lorenzi, che ne continuò l’attività. Nel 1783, trascorsi i dieci anni della privativa, furono aperte altre due officine – quella di Giuseppe Santini e Ludovico Sinibaldi e quella di Mattia Filippuzzi – a dimostrazione del successo e della richiesta di questo prodotto. Esse erano destinate a chiudere nel 1813, a causa dell’occupazione francese della città, per non riaprire più. Un lavorante di queste partì per Bassano portando con sé la formula e vi aprì una fabbrica: oggi nella città veneta questa particolare ceramica bianca viene ancora prodotta.

Questa sezione è attualmente chiusa al pubblico e visitabile solo su appuntamento.

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42. Mosaico Romano

Nell’ambito dei lavori di ristrutturazione e restauro che hanno interessato l’intero edificio sede del Civico Museo Sartorio, a ridosso dell’accesso al sotterraneo, che si apre in via Duca d’Aosta 3, sono emersi elementi strutturali relativi ad una domus o villa costiera romana, risalente al I secolo d.C., in particolare un pavimento musivo in tessere di calcare bianco.

Attorno al VII sec. d. C. l’area venne abbandonata, e tale rimase fino al XVIII sec., quando vennero creati dei terrazzamenti digradanti verso il mare, aspetto che caratterizzò questa zona fino alla prima metà del XIX sec.

Mosaico romano

45. Memoriale "Giorgio Costantinides"

Questo spazio – inaugurato nel 2002 – ospita la collezione di gioielli, bijoux, acquasantiere, ceramiche, vetri e argenti dei secoli XIX e XX donati tra il 2001e il 2015 da Fulvia Costantinides (Genova 1924-Trieste 2020), straordinaria mecenate del museo. Per ricordare il marito Giorgio Costantinides, chimico industriale, figura eminente a Trieste quale direttore dei laboratori di ricerca e controllo della Raffineria Aquila e professore alla facoltà di Ingegneria dell’Università di Trieste, fin dal 1998 ella, assieme al figlio Fulvio, ha finanziato innumerevoli interventi di restauro e riqualificazione che nel 2006 hanno consegnato il Museo Sartorio all’aspetto odierno.

Questa sezione è attualmente chiusa al pubblico.

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