Nel lungo sotterraneo, entro vetrine, è esposta una rassegna di Ceramica italiana dal Medioevo all’Ottocento dalle collezioni dei Civici Musei
Il prezioso e vario vasellame proviene dalle più importanti manifatture italiane e si conclude con esempi di produzione inglese e triestina.
Si tratta di circa duecentocinquanta pezzi scelti tra i moltissimi di proprietà dei Civici Musei di Storia ed Arte, in massima parte frutto di lasciti di alcune famiglie triestine, quali Sartorio, Morpurgo, Currò e Rusconi, e solo in minima parte acquistati e donati occasionalmente.
Negli anni Sessanta del ‘900 tutto questo materiale – piatti, alzate, crespine, coppe, tazze, boccali, contenitori da farmacia – venne studiato con grande dedizione da Bianca Maria Favetta, conservatore dei Musei di storia ed arte di Trieste, e infine esposto nel 1966; da allora il nucleo è stato diversamente presentato e aggiornato scientificamente.
L’allestimento evidenzia la produzione di diverse aree geografiche.
L’esposizione inizia con alcuni esempi di cosiddetta maiolica arcaica del ‘400 prodotta a Orvieto ed alcuni straordinari manufatti provenienti da Faenza; seguono boccali eseguiti a Pesaro e a Deruta, caratterizzati dalla decorazione a grottesche.
Si passa poi all’esemplificazione delle manifatture pisana e di Montelupo con soli tre pezzi, mentre accanto è rappresentato il Veneto, la sua produzione dal XV al XVIII secolo, con il culmine raggiunto dalle officine di Bassano e Nove.
Il resto dell’Italia trova spazio nelle vetrine successive: le forme sia semplici che complesse, dominate dalla monocromia del blu, della produzione ligure; i rinomati manufatti della famiglia Grue di Castelli d’Abruzzo; i piatti e gli albarelli dai motivi geometrici di ispirazione araba dell’Italia meridionale.
A conclusione le ultime quattro vetrine espongono settanta notevoli esemplari della ceramica triestina degli ultimi tre decenni del Settecento. Vasellame in terraglia fine, caratterizzato dall’equilibrio e dall’armonia delle superfici eburnee, lisce e prive di cromatismi, dai delicati ornati a traforo e dalla nitidezza dei rilievi.
La prima vetrina accoglie alcuni manufatti della nota produzione inglese di Josiah Wedgwood (Burslem, Staffordshire, Inghilterra, 1730-1795), famoso per i gres con decorazioni a cammeo e per la straordinaria invenzione delle terraglie dagli impasti bianchi e purissimi, dalla vernice trasparente e prive di decorazioni dipinte, che influenzarono la produzione triestina del ‘700.
A Trieste, infatti, nel 1773 Giacomo Balletti aprì nella zona della dei Santi Martiri (quindi accanto a questa villa), con una concessione privativa decennale dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, una fabbrica di maioliche e faianse dipinte, su ispirazione di quelle inglesi. Nel 1776 Balletti la vendette a Pietro Lorenzi, che ne continuò l’attività. Esattamente dieci anni dopo, nel 1783, scaduta la privativa, aprirono altre due fabbriche, quella di Giuseppe Santini e Ludovico Sinibaldi e quella di Mattia Filippuzzi a dimostrare il successo e la richiesta di questo prodotto. Le fabbriche tuttavia chiusero nel 1813, causa l’occupazione francese della città, e non riaprirono più. Un lavorante di queste partì per Bassano portando con se la formula e vi aprì una fabbrica.
Oggi nella città veneta questa particolare ceramica bianca viene ancora prodotta.